L’oro italiano torna al centro del dibattito europeo
Perché le 2.452 tonnellate della Banca d’Italia fanno discutere BCE, politica e risparmiatori.
Negli ultimi giorni è passata quasi in sordina una notizia battuta da Reuters che merita più attenzione di quanta ne abbia avuta.
La Banca Centrale Europea ha chiesto all’Italia di fare marcia indietro su una proposta che, a leggerla di sfuggita, poteva sembrare innocua: scrivere nero su bianco che le riserve auree della Banca d’Italia appartengono al popolo italiano.
Fin qui, verrebbe da dire: dov’è il problema?
Innanzitutto, non stiamo parlando di una cifra simbolica, ma di ben 2.452 tonnellate d’oro.
L’Italia è il terzo Paese al mondo per riserve nazionali, subito dopo Stati Uniti e Germania. Tradotto in numeri: circa 300 miliardi di dollari, qualcosa come il 13% del nostro PIL. Non esattamente un dettaglio di bilancio.
Allora perché tutta questa resistenza?
La proposta di Fratelli d’Italia va a toccare un nervo scoperto del sistema monetario europeo: l’indipendenza delle banche centrali. Non è una formula astratta, è il cuore del meccanismo che regola l’euro.
Christine Lagarde lo ha ricordato senza troppi giri di parole: secondo le regole europee, la gestione delle riserve – oro compreso – spetta alle banche centrali nazionali, non ai governi.
Questa autonomia serve a tenere quell’oro lontano dalle esigenze, e dalle tentazioni, della politica: niente scorciatoie per coprire buchi di bilancio, niente “vendiamo un po’ d’oro e sistemiamo i conti”.
In altre parole, quelle 2.452 tonnellate non sono solo un tesoro accatastato nei caveau: sono anche un pezzo della credibilità del Paese e della stabilità dell’euro.
È per questo che quando qualcuno prova a rimetterle in gioco sul piano politico, a Bruxelles si accende più di un campanello d’allarme.
Questa autonomia non è un dettaglio tecnico, ma un pilastro dell’Eurozona. Serve a tenere l’oro al riparo dalle pressioni della politica e dalla tentazione, sempre presente, di usarlo per tappare i buchi del bilancio pubblico. In altre parole: quell’oro è lì anche per proteggere la stabilità della moneta, non per diventare il salvadanaio di emergenza dei governi di turno.
I promotori dell'emendamento sostengono che si tratti solo di una precisazione tecnica. Ma la BCE ha fatto notare come non sia chiaro quale sia lo scopo concreto di questa modifica, se non quello di aprire una porta pericolosa.
Il precedente del 2019
Non è la prima volta. Nel 2019 la Lega aveva sollevato questioni simili, con la stessa risposta da Francoforte: no secco.
Toccare le regole sulla gestione dell'oro rischia di minare la credibilità dell'euro e la stabilità dell'intera eurozona.
Le riserve nazionali non sono un patrimonio dormiente. Sono una garanzia di stabilità che rafforza la fiducia degli investitori. Quando si inizia a parlare di modificare i meccanismi di gestione, nascono domande. E l'incertezza arriva subito dopo.
Cosa significa per chi investe
Questo episodio dimostra quanto l'oro rimanga strategico per gli Stati. L'Italia custodisce queste 2.452 tonnellate da decenni per un motivo preciso.
La proposta è già stata modificata per renderla meno aggressiva verso Bruxelles. Ma il dibattito mette in luce una tensione: da un lato l'autonomia delle istituzioni monetarie, dall'altro le pressioni politiche nazionali.
Per chi valuta l'oro come investimento, episodi come questo ricordano una cosa semplice.
L'oro è uno strumento di sovranità economica, mantiene valore quando tutto il resto vacilla. Quando persino i governi ne rivendicano la proprietà così esplicitamente, forse vale la pena considerare seriamente questo bene rifugio.
Mentre l'Europa dibatte su chi possiede l'oro di Stato, l'oro continua a fare quello che ha sempre fatto. Resistere alle crisi, mantenere valore.
Fonte: https://www.reuters.com/business/finance/ecb-calls-italy-reconsider-proposal-central-bank-gold-2025-12-03

